Con la ricetta elettronica attenzione ai reati informatici

La ricetta elettronica è un importante traguardo raggiunto, ma implica nuovi obblighi giuridici, anche per i farmacisti, collegati ai reati informatici. Ormai le nuove tecnologie informatiche hanno fatto il loro ingresso in farmacia per l’avvenuta diffusione su larga scala, in tutto il territorio nazionale, della ricetta elettronica o dematerializzata. Essa rappresenta il risultato finale di una serie di provvedimenti emanati nel tempo.

La normativa sancisce l’equivalenza, a tutti gli effetti, tra la ricetta cartacea e quella telematica: essa, quindi, pur nella sua nuova qualificazione, resta una certificazione amministrativa che rende operativo il diritto dell’assistito all’erogazione dei farmaci. Questa equiparazione comporta che la ricetta elettronica deve ritenersi falsa allorché contenga dichiarazioni non veritiere del medico (per esempio, nel caso in cui prescriva stupefacenti a fini antidolorifici, mentre è finalizzata a soddisfare una tossicodipendenza). Parimenti, deve ritenersi falsa una iperprescrizione di farmaci, al di fuori degli effettivi bisogni dell’assistito, a fini corruttivi per trarne un profitto. Reati, questi, penalmente puniti dagli articoli 477 e 482 del Codice penale.
In questi casi il farmacista, quale incaricato di pubblico servizio, è obbligato, a norma dell’articolo 361 del Codice penale, a informare senza ritardo il Procuratore della Repubblica, essendo venuto a conoscenza dei suddetti illeciti penali nel corso dell’esercizio della sua attività. Se non lo fa, è penalmente perseguibile. Vicende di qualche anno fa hanno dimostrato, infatti, che vi sono state non poche condanne penali a carico di medici e farmacisti per fatti corruttivi connessi a iperprescrizioni “amichevoli”, non denunciate dai titolari delle farmacie.

Oggi il farmacista, nella sua veste pubblica di controllore non soltanto formale della legittimità della ricetta, deve far fronte a una nuova situazione, dovuta alla introduzione nel nostro ordinamento di nuove fattispecie delittuose collegate all’elettronica. Difatti, con la Legge n. 547 del 23 dicembre 1993, sono stati introdotti i reati informatici e tra i più gravi vanno segnalati quelli puniti dagli articoli 615 bis e 640 ter del Codice penale.
Il primo riguarda il reato di accesso abusivo a un sistema informatico protetto da misure di sicurezza ovvero l’intrattenimento in esso contro la volontà del titolare. Esso è punito con la pena fino a tre anni di reclusione. Nell’ipotesi poi che il comportamento illecito sia posto in essere ai danni dello Stato o di altro ente pubblico da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio (come il farmacista), la pena aumenta fino a cinque anni di reclusione. Il reato punito dall’articolo 640 ter C.p. fino a cinque anni di reclusione ha i medesimi elementi costitutivi della truffa, dalla quale si differenzia solamente perché l’attività truffaldina è posta in essere non contro una persona bensì contro un sistema informatico.
Entrambe le ipotesi delittuose potrebbero emergere allorquando il farmacista abusivamente acceda a un sistema informatico oppure, pur in presenza di elementi che connotano di illegittimità il comportamento del medico per l’avvenuta prescrizione a chi non ne aveva diritto a scopo di profitto economico, dia avvio alla spedizione della ricetta senza segnalare le sue anomalie alla autorità giudiziaria. In tal caso egli si rende responsabile sia del reato di cui all’articolo 361 del Codice penale, sia di quello, molto più grave, ove risulti dimostrata l’esistenza di fatti corruttivi secondo l’articolo 319 del Codice, punito con pene assai elevate.

(di Alfonso Marra, Farma Mese 7-2019, © riproduzione riservata)

2019-09-12T17:33:47+02:00