Al Cosmetic Summit di Cosmofarma ReAzione 2021 si è parlato del farmacista come influencer di bellezza o skinfluencer, in un’ottica innovativa, moderna e molto professionale. Tutto parte, infatti,
dalla sua autorevolezza, irrinunciabile chiave strategica
Come è stato sottolineato dal Pharmacy Times nel maggio di quest’anno, il farmacista ha assunto recentemente anche il ruolo di skinfluencer in via definitiva grazie alla funzione della farmacia come “luogo sicuro” durante la pandemia, tant’è che durante il lockdown molte persone uscivano di casa proprio e soltanto per andare in farmacia.
A dire il vero, la American Society of Health-System Pharmacists già nel 2012 dichiarava auspicabile che i farmacisti usassero i social media, perché ne vedeva l’utilità per rafforzare le relazioni non soltanto con i clienti, ma anche con gli informatori e il pubblico in generale.
Questo nuovo ruolo è un’evoluzione oggi possibile grazie all’affidabilità e all’autorevolezza del consiglio etico, provenienti da un professionista e non da un personaggio che sui social è “mercenario” di qualsiasi brand e privo di alcuna competenza specifica.
Ma non soltanto: al farmacista è riconosciuta anche la dote dell’empatia: il comportamento empatico ed etico, infatti, è uno dei concetti chiave individuati per i prossimi cinque anni da Beautystreams (autorevole agenzia internazionale specializzata in previsione e analisi dei trend del settore della bellezza).
IN SCIENCE WE TRUST
In un periodo di crisi -sanitaria, economica ed emotiva- la figura del farmacista è diventata un punto di riferimento, una persona su cui poter contare per avere risposte e informazioni sempre attendibili.
E non soltanto su virus, tamponi e vaccini, ma anche sui cosmetici, perché il comportamento d’acquisto è sempre più orientato verso scelte consapevoli anche nel settore della bellezza.
Il consumatore vuole sempre di più sapere, oltre a che cosa c’è dentro al prodotto, che cosa c’è dietro: chi produce questo cosmetico? Chi c’è oltre al brand? Non si tratta più di un semplice atto di acquisto, ma di una presa di posizione cosciente.
Per il farmacista, avere una presenza sui social significa consolidare il suo ruolo sociale, parlare ai clienti con quell’autorevolezza basata su dati e competenza scientifica anche al di fuori del luogo fisico che è la farmacia.
Un altro dei macrotrend che fortunatamente stanno emergendo sempre più è, infatti, la fiducia nella scienza, il cosiddetto in science we trust. Nell’epoca dei social media, nella jungla virtuale popolata da influencer più o meno attendibili, l’ultimo periodo, in mezzo a tutte le difficoltà, ci ha dato anche la possibilità di scremare, di riposizionare l’attenzione verso le fonti di informazioni veritiere e corrette, verso i reali esperti. E questo vale anche per la bellezza.
Empatia e tecnologia, dunque, due elementi in apparenza contrapposti e incompatibili, che creano un binomio paradossale, sono gli aspetti chiave del ruolo del farmacista come influencer e, per la precisione, come micro influencer, perché dotato di una rete relativamente piccola di contatti, ma con una forte fiducia (o engagement, per usare un termine tecnico).
Gli italiani, infatti, utilizzano il digitale anche per la propria salute: praticamente uno su due cerca informazioni online su malattie e problemi di salute, ma pochissimi sono realmente soddisfatti delle risposte. Questo per dire che i margini per fare bene ci sono eccome.
In questo scenario di grandi opportunità, c’è, però, un aspetto che può essere migliorato: la difficoltà che spesso il farmacista deve affrontare è creare una sinergia tra la comunicazione puramente scientifica e il marketing, cioè il saper vendere un prodotto.
Perché magari è proprio quello perfetto per il cliente-paziente a cui il farmacista si sta rivolgendo, ma non ne viene percepito il valore, perché il linguaggio adottato è troppo tecnico. Come rimediare a questo punto deficitario?
Una possibile soluzione è nelle mani delle aziende, che hanno l’opportunità di fare sempre più formazione e sempre di maggior qualità per fornire ai farmacisti dei tool (cioè degli strumenti) di vendita più “customer oriented” (orientati al cliente) e con un linguaggio più d’impatto anche emotivo, accattivante, parlando di progetti e servizi, più che di prodotti. Un minimo di storytelling in dosi omeopatiche, per capirci.
Un altro aspetto che può essere ancora migliorato è la gestione dei social: abbiamo detto che già da tempo negli Usa è incoraggiato l’uso personale e professionale dei social media da parte dei farmacisti, in modo che dai loro account possano divulgare informazioni corrette e sfatare tanti luoghi comuni.
Questo può essere di vantaggio anche nell’ottica dell’apertura di un e-commerce (ricordiamo l’impennata del +40% delle vendite online registrate l’anno scorso).
Questa della vendita via web, infatti è una tendenza irreversibile, destinata a restare, ce lo dicono i dati e gli esperti, e ce ne siamo resi conto anche noi, da clienti. Il mondo evolve e dobbiamo reagire velocemente, anche creando nuove sinergie tra figure professionali.
(Annalisa Betti, Panorama Cosmetico 4/2021 ©riproduzione riservata)