Progettiamo o non progettiamo?

In Germania i semafori non passano direttamente dal rosso al verde: tra i due compare il giallo (o arancio), esattamente come nel caso opposto, cioè tra il verde e il rosso (che è normale anche in Italia). In quel frangente in cui il giallo anticipa il verde il conducente ha il tempo di inserire la marcia, togliere il piede dal freno e riavviare il motore; insomma, si prepara a partire, evitando peraltro quell’attesa infinitesimale che in Italia darebbe vita a un concerto di clacson.

Ma cosa c’entrano i semafori tedeschi? Questa procedura (rosso-giallo-verde) rappresenta in modo emblematico l’approccio strutturato e progettuale tipico della cultura teutonica: ogni cosa deve essere programmata e organizzata in modo da potersi preparare per affrontarla al meglio. Il che va benissimo. A patto che si stia vivendo in una situazione stabile, in cui l’evoluzione del mondo sia lineare e costante.

Usciamo ora dalle considerazioni cultural-geografiche e soffermiamoci a pensare allo “stato dell’arte” del nostro mondo. Chiunque abbia vissuto un’esperienza in o con un’azienda medio-grande sa molto bene che per poter impostare un piano d’investimenti è necessario fare dei piani a lungo termine (diciamo 5 anni): ed è normale, soprattutto quando si costruiscono progetti che impiegano un po’ prima di diventare profittevoli. Tutto ciò, tuttavia, si scontra con almeno altre due esigenze: l’azienda deve produrre sempre profitto (possibilmente…); l’azienda potrebbe incappare in un evento inaspettato che manda all’aria tutti i piani. E diciamo che quest’ultima circostanza ha colpito molte realtà nell’ultimo periodo!

Ci troviamo dunque, come spesso capita, di fronte a una contraddizione: da un lato dovremmo fare piani a lunga scadenza, dall’altro dobbiamo scendere a patti con un mondo diverso, che cambia a una velocità mai vista prima. Assistiamo quotidianamente alla nascita di stelle e alla scomparsa di altre (le cosiddette meteore); il rapido mutare del mondo porta oggetti, abitudini e anche persone a un’obsolescenza talmente veloce dal farle scomparire improvvisamente.

Un classico esempio arriva dalla fotografia: una foto scattata fino alla fine del secolo scorso (poco più di vent’anni fa) era destinata a rimanere nel tempo, come documentazione materiale di un attimo di vita: ora le fotografie ci sono, ma non ci sono; le abbiamo sul telefono, sul cloud, ovunque tranne che di fronte a noi. Le modifichiamo, le adattiamo all’uso. Ancora una volta, mutazione rispetto a stabilità. È una brutta cosa? No, stiamo semplicemente prendendo atto di questa trasformazione.

Dice Bauman: “il mondo in cui viviamo sembra essere caratterizzato da frammentazione, discontinuità e illogicità. In un mondo del genere, è saggio e prudente non fare progetti a lungo termine e non investire in un lontano futuro”. E poi aggiunge: “essere previdenti significa oggi il più delle volte evitare di assumere impegni, essere liberi di muoversi quando un’opportunità bussa alla porta e di andarsene quando smette di bussare”. Certo, adottata così, brutalmente, questa teoria porterebbe a non fare più progetti per il futuro, a vivere alla giornata tirando a campare. E probabilmente non è nemmeno la decisione più corretta.

Quello che però dobbiamo considerare è che non possiamo più pensare di prevedere il futuro girandoci indietro, analizzando cos’è successo in passato ed estrapolandolo per gli anni a venire. È importante avere una visione, un grande obiettivo da perseguire e tanta determinazione. Dopodiché sarà fondamentale avere una dose massiccia di flessibilità per riuscire a modificare i nostri progetti in base all’evoluzione del mondo, sapendo che il futuro non si può prevedere, oggi meno che mai: però ce lo possiamo disegnare e costruire.

(di Roberto Valente, Farma Mese n. 4/2022 ©riproduzione riservata)

2022-04-06T15:25:14+02:00