A proposito di amore: il “love brand”

Alzi la mano chi ha mai visto (o sentito di) una lunga coda davanti a un negozio di smartphone che non fosse Apple. Sono certo che nessuna mano è stata alzata. Perché? La risposta più logica e naturale sarebbe: “beh, perché gli i-phone costano meno”, oppure: “la tecnologia di questi apparecchi è nettamente superiore alla concorrenza”. In realtà, ahimè, nessuna di queste risposte corrisponde alla realtà. Chi (come me, peraltro) appartiene alla categoria dei fedeli alla mela sa che non si tratta di una questione economica né di una tecnologica, se escludiamo la grandissima qualità della fotocamera. Chi acquista Apple lo fa per una scelta irrazionale: ama il brand.

Potremmo andare avanti con altri esempi: dalla disputa tra Coca e Pepsi, all’orgoglio indiscutibile di essere “lancista” o “alfista” (questa la capiscono le persone un po’ più agée come me…). Sta di fatto che in nessuno di questi casi la scelta per una parte o per l’altra si basa su motivazioni tecniche o razionali. E allora tanto di cappello a chi è riuscito a trasformare un brand, una marca, in un “love brand” o “love mark”, secondo la definizione di Kevin Roberts, già ceo di Saatchi&Saatchi.

Come sempre, proviamo ora ad adattare questo concetto alla realtà della farmacia. Prima osservazione: la farmacia non è un prodotto, ma un contenitore di prodotti e questi non sono unici. Seconda osservazione: oltre ai prodotti ci sono anche i servizi e questi possono essere unici. Terza osservazione: oltre ai prodotti e ai servizi, in farmacia ci sono i farmacisti e questi sono (o possono essere) veramente unici. Ecco allora trovato il bandolo della matassa: da dove partiamo per trasformare la nostra farmacia in un “love brand”? Dal farmacista. Ho detto una cosa banale? Forse sì. Ma se è così banale, perché non tutte le farmacie sono dei “love brand” per i propri clienti?

Facciamo un ulteriore passo avanti. Abbiamo detto prima che gli acquisti di prodotti Apple, della Coca Cola o di un’Alfa Romeo non dipendono da ragionamenti, ma sono irrazionali. E giacché sappiamo che le persone acquistano sulla base di istinti emotivi e poi, semmai, giustificano razionalmente, bisognerebbe fare in modo che questo avvenisse anche per la farmacia. Certo, lo sappiamo: le ricette, lo stress, i tamponi, la mancanza di personale… e quindi?

E quindi niente. La strada verso il “love brand” è quella che dicevamo: il cliente deve percepire la farmacia come il “suo” brand, deve preferirla sempre a qualunque altra. Non basta che il brand della farmacia sia basato su valori (e ci mancherebbe altro, verrebbe da dire): bisogna innanzitutto che questi vengano esplicitati, raccontati, spiegati al cliente; se no l’effetto è decisamente ridotto. E poi, naturalmente, questi valori vanno applicati con coerenza e devono trasparire da ogni comportamento.

È chiaro che, per fare tutto questo, è necessario un passo indietro: dobbiamo cioè partire dal presupposto che vogliamo far diventare la nostra farmacia un brand. È un ragionamento troppo commerciale? Forse sì, ma non ci scordiamo che gli stessi farmaci ce li hanno più di 19.000 farmacie in Italia. E, se parliamo del non-farmaco, il numero aumenta. Dunque la vera sfida, credo, è quella di diventare unici, teoricamente insostituibili. I nostri clienti ci devono preferire a tutti i costi.

Difficile? Si, certo. Ma poi che soddisfazione! Dice sempre Kevin Roberts quando delinea la differenza tra un brand e un “love mark”: mentre il primo crea fedeltà per qualche motivo, il secondo la crea senza alcun motivo. Questa è la vera differenza, l’irresistibilità del “love mark”.

Alla fine, il concetto dell’amore fa nuovamente capolino: è come quando ci viene chiesto perché amiamo una persona: non c’è motivo, la amiamo e basta. Se no, non sarebbe vero amore.

(di Roberto Valente, Farma Mese n. 6/2022 ©riproduzione riservata)

2022-06-15T11:41:19+02:00