Come spesso accade nelle situazioni problematiche, anche per la carenza del personale laureato in farmacia le cause sono molteplici. C’è chi accusa il numero chiuso del corso di laurea, che limita ogni anno la presenza di nuovi professionisti; chi chiama in causa le parafarmacie di Bersani o il concorso straordinario di Monti, che hanno drenato molti laureati; chi punta su motivazioni interne, come gli stipendi insufficienti o le limitate possibilità
di carriera, o le modeste soddisfazioni professionali oppure l’eccessiva estensione degli orari di lavoro, e così via.
Quali ne siano le cause della carenza del personale laureato in farmacia, rimane il fatto che il “problema personale” è diventato molto rilevante per il 23,7% dei rispondenti al questionario e moltissimo per il 54,3%. In totale fa il 78%, quindi un’ampia maggioranza di “preoccupati”.
Ha cercato non soltanto di fare chiarezza sulle cause del problema, ma anche di indicarne i possibili rimedi Pharmacy Scanner, il nostro webmagazine leader in farmacia, che ha lanciato un sondaggio tra i lettori. In pochi giorni ha raccolto le opinioni di ben 1.300 addetti ai lavori (titolari, direttori, collaboratori, responsabili di catene).
Interessante analizzarne i principali risultati (presentati durante un webinar molto seguito, moderato dal direttore Alessandro Santoro e con il contributo non condizionante di EG Stada e di Hippocrates Holding), perché offrono indirettamente, sulla base dei diversi ruoli, anche uno spaccato sul vissuto in farmacia.
Innanzitutto verifichiamo quali siano le principali cause indicate dai farmacisti che hanno compilato il questionario. Al vertice delle voci segnate con il punteggio di “moltissimo” risultano la retribuzione non adeguata (75,5%), la debole rappresentanza dei farmacisti nei tavoli di concertazione (65,5%) e il mancato riconoscimento del ruolo sanitario (65,3%). Le altre motivazioni indicate sono, nell’ordine: gli orari e turnazione della farmacia che complicano la vita familiare (65,2%); le poche prospettive di carriera e di sviluppo professionale (57,5%), la mancanza di riconoscimento economico al raggiungimento degli obiettivi (53,3%).

Al di là delle motivazioni che determinano lo scarso apprezzamento per il lavoro in farmacia, è interessante verificare le risposte alla domanda “Se potessi investire sul cambiamento di una delle precedenti variabili quale sceglieresti?”, perché quelli indicati sono gli interventi ritenuti più necessari (tabella 1). Nell’ordine risultano: retribuzione non adeguata (82,1%), organizzazione degli orari (61,8%), poche prospettive di carriera (43,8%) e mancato riconoscimento del ruolo professionale (42,5%).
Ovviamente, però, queste risposte assemblate in modo generale meritano di essere declinate in base ai giudizi espressi dai diversi partecipanti alla survey, perché differenti sono le aspettative e le soluzioni manifestate dei diversi gruppi. I titolari, per esempio, chiedono tra l’altro il taglio del cuneo fiscale e una miglior retribuzione per poter aumentare gli stipendi (tabella 2); i responsabili di catene puntano su aumenti di stipendi correlati agli obiettivi raggiunti e su maggiore welfare aziendale, mentre i farmacisti collaboratori indicano tout court riconoscimento del ruolo sanitario, aumento dello stipendio e migliori orari di lavoro.

Al di là delle diverse posizioni, che meritano di essere analizzate e condivise, rimane il fatto che le attuali difficoltà denunciate sono pur sempre il sintomo di un malessere pericoloso, dalle radici non soltanto sindacali, ma anche professionali, che vanno affrontate con rapidità e senza pregiudizi. Le tipologie operative e le stesse dimensioni della farmacia obbligano, infatti, a rapporti interpersonali particolari, non soltanto collaborativi, ma anche sereni e proattivi alla condivisione degli obiettivi.
(Farma Mese n. 7/2022 ©riproduzione riservata)