Approfitto del periodo delle vacanze natalizie per tuffarmi in una serie di ricerche che analizzano i trend del consumatore da una parte, e cosa pensa di fare il retail moderno per intercettare le future tendenze dall’altra. È una buona abitudine che suggerisco anche a voi: immergersi negli stimoli, per poi “rubare” spunti per la propria attività.
Devo dire che sintetizzare il tutto con la frase “c’è crisi” non sembra essere il modo migliore di affrontare il futuro se si è operatori economici in Italia. Per quanto riguarda il consumatore, i concetti sono chiari e semplici. Una megatendenza è quella di ridurre.

Attenzione: di partenza il concetto è positivo, non legato alla necessità, ma alla volontà. Significa liberarsi degli oggetti superflui: fare decluttering, letteralmente “eliminare ciò che ingombra”. La testimonial planetaria di questo concetto è senza dubbio Marie Kondo, la consulente del riordino più famosa al mondo. Ha sviluppato il metodo KonMari che si basa su un grande principio: bisogna circondarsi soltanto di ciò che ti rende felice. Può valere per le persone, ma anche per gli oggetti, ancor di più per quello che popola il guardaroba. Il decluttering proposto da Marie Kondo è intenso, ma punta a sbarazzarsi di tutto ciò che non fa battere più il cuore. L’obiettivo del guru del riordino è creare un ambiente di vita che possa essere sinonimo di gioia. Niente di nuovo, devo dire. È il concetto del “less is more” creato dall’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe, e che si ispira a un principio: il “di più”, si ottiene costruendo un edificio sul concetto dell’essenzialità (il meno). Roba del 1940 che riprende impulso.
Con una testimonial orientale così forte possiamo allargare il concetto di riduzione: possiamo fare attenzione alla riduzione dei rifiuti, per raggiungere i traguardi ambientali. Lo stesso si può applicare ai consumi energetici. Pensate al grande interesse sul cuocere la pasta a fuoco spento! Permettetemi una sintesi forte: ridurre non è una sfiga, è una scelta che vuole influire positivamente sul mondo intorno a noi. Nonostante tutta questa voglia di limitarsi, però, il 47% dei consumatori prevede di aumentare gli acquisti online. Quindi facciamo delle scelte, non tutte perfettamente logiche e consequenziali.
Altro trend notevole è quello della ricerca della migliore offerta. Sconto sì, ma non così per tutti. Le offerte e gli sconti sono sempre attraenti, ma il numero di coloro che dichiarano di dedicare tempo alla loro ricerca è diminuito dal 2020 e sono ancora soprattutto anziani. Nel complesso, le persone si preoccupano più della qualità (53%) che del costo (36%) quando decidono da quali marchi acquistare. Infatti, meno della metà (43%) dei consumatori dichiara di dedicare tempo alla ricerca delle offerte migliori.
Pensare a lungo termine
Il “longtermismo” è un’idea secondo la quale bisognerebbe dare priorità al futuro a lungo termine dell’umanità anziché concentrarsi sui problemi che l’umanità deve affrontare adesso. Da un’idea filosofica, questo concetto si sta trasferendo ai consumi, mettendo il benessere delle generazioni future al centro del dibattito, e a questo si associa una nuova spinta di ottimismo nel superare il cambiamento climatico. Questo processo comunica ottimismo, forse molto di più di quello degli addetti ai lavori.
Una riflessione che da qualche tempo racconto nei miei seminari: conoscete la Generazione Z? Sono i nati tra il 1998 e il 2008, sono connessi alla rete 24 ore su 24 e non ricordano nemmeno lontanamente un mondo senza internet e senza social media. Le persone della Generazione Z sono circa due miliardi nel mondo e hanno un potere di spesa molto elevato: contribuiscono con circa 44 miliardi di dollari all’economia americana, influenzando la spesa delle famiglie per 600 miliardi di dollari. Mi ha molto colpito questa frase: “Man mano che la Gen Z guadagna più soldi e diventa più potente nel votare con i propri dollari, le aziende che si concentrano sulla sostenibilità vinceranno.” Il lungo termine in questo caso sono semplicemente i futuri consumatori, che pensano in maniera molto diversa dai loro genitori e nonni.
Empatia e benessere emotivo
Un’ultima tendenza riguarda la ricerca della cura del sé, che dopo la pandemia si è molto spostata, evidenziando l’importanza dell’empatia e delle connessioni autentiche per garantire il benessere emotivo. Concetti come l’economia dell’empatia si stanno facendo sempre più spazio da qualche mese a questa parte nei dibattiti social.
L’economista Mark Carney all’inizio della pandemia scriveva su “The Economist” che i consumi sarebbero cambiati, che la pandemia avrebbe modificato il comportamento d’acquisto, in prima battuta prevalentemente dei consumatori intellettualmente e culturalmente più maturi, che avrebbero quindi scelto beni ai quali associare un valore anche umano, un reale valore legato alle modalità e alle filosofie di produzione. E, detto tra noi, questi concetti alti si coniugano con consumatori che saranno meno pazienti e fedeli, come evidenziato in tutte le ricerche. Essere realmente empatici ed efficaci conterà, insomma, moltissimo.
Veniamo ai retailer. La domanda da porsi è: cosa faranno i retailer nel 2023? Il settore della vendita al dettaglio ha subito un terremoto. I consumatori di tutto il mondo oggi vivono in modo diverso, lavorano in modo diverso e acquistano anche in modo diverso. La ricerca Retail Report di Kpmg mostra che a livello globale il 67% delle aziende nei settori retail e food&beverage è cresciuto, nel 2021, del 20% o più.
Ciò è dovuto in gran parte all’accelerazione degli investimenti in trasformazione digitale, realizzati in risposta alle esigenze degli acquirenti in rapida evoluzione. Secondo la ricerca, il 49% degli intervistati afferma che la propria attività è in una posizione migliore grazie agli investimenti fatti durante la pandemia e il 94% prevede di investire ulteriormente nel 2023. Le aziende che vanno meglio sono quelle che hanno investito nella trasformazione digitale.
Anche i consumatori hanno notato questo cambiamento: il 61% ritiene che i retailer abbiano utilizzato bene la tecnologia per rendere disponibili i propri prodotti durante la pandemia. Ma c’è ancora molta strada da fare. Avendo sperimentato la recente ondata di intraprendenza, innovazione e flessibilità della vendita al dettaglio, i consumatori di tutto il mondo ora si aspettano di più dalle loro esperienze di acquisto. Sono soddisfatti della reazione, ma si aspettano qualcosa di più.
Cosa si aspetta il consumatore?
Ed ecco, quindi, quattro aspettative chiave dei consumatori, che meritano una considerazione strategica nel settore retail in questo momento:
1) Acquisti multicanale – Le esperienze flessibili e basate sulla tecnologia, rese disponibili durante la pandemia, stanno demolendo il confine tra i canali di vendita. Dalla comodità del click&collect ai programmi fedeltà in-app: i dati mostrano che il 61% dei consumatori ritiene che i retailer dovrebbero offrire la stessa flessibilità tra fisico e digitale che hanno fornito durante la pandemia. Il 55% è più fedele alle catene che hanno sia negozi fisici, sia store online.
2) Programmi fedeltà più efficaci e basati su tecnologie innovative – Non è mai stato così facile per le persone trovare, confrontare e fare acquisti come lo è oggi. Basta sfoderare il proprio smartphone. E questo sta influenzando la fedeltà dei clienti tradizionali in tutto il mondo, come sottolineavo qualche riga più su. A livello globale, il 70% dei consumatori non effettuerà più acquisti con aziende con le quali ha avuto una brutta esperienza di acquisto. Una volta scottati, si cambia. I programmi fedeltà sono un’area dell’esperienza del cliente matura in termini di innovazione: il 70% dei consumatori a livello globale afferma che i retailer dovrebbero utilizzare meglio e di più la tecnologia per rendere i propri programmi fedeltà più semplici ed efficaci. Il termine fedeltà sembra legato sempre più al termine semplificazione.
3) Maggiore coscienza ambientale e sociale – I consumatori pretendono sempre più che i marchi abbiano un impatto positivo sulla società. La ricerca di Kpmg ha rilevato che mostrare sostegno a buone cause e consentire ai consumatori di apportare il proprio contributo servirà a promuoverne la fedeltà. Sostenere e comunicare buone cause sembra una chiave interessante. Due terzi (66%) dei clienti credono che i marchi abbiano la responsabilità di garantire che le loro scorte siano acquistate e prodotte eticamente e il 53% preferisce i marchi che difendono i valori in cui credono.
4) Esperienze in negozio potenziate dalla tecnologia – C’è ancora una forte propensione per l’esperienza in negozio. Il 64% dei consumatori, infatti, afferma che i negozi fisici sono un punto di contatto importante, anche se fanno acquisti online con lo stesso rivenditore. La metà dei consumatori acquisterà online, ma andrà in negozio per il servizio clienti o per cercare un prodotto che non è riuscito a trovare sul web. Fare acquisti in un negozio fisico dovrebbe essere divertente, senza stress e tecnologicamente sofisticato. Con quasi la metà delle aziende che prevede di aumentare il numero di negozi fisici nel prossimo anno, i marchi devono trovare il modo di affascinare i clienti, ridurre le code di attesa e creare un’esperienza di brand memorabile.
Il 2023 sembra davvero interessante per pianificare innovazioni nella relazione con il proprio cliente.
Lui è pronto. E voi?
(di Nicola Posa, Farma Mese n. 1/2-2023 ©riproduzione riservata)