Certo, siamo il Paese dei mille campanili e dove, di conseguenza, il campanilismo vanta una ampia tradizione: è, quindi, comprensibile l’individualismo che, da sempre, caratterizza anche la categoria dei farmacisti. Ricordo le ore trascorse con l’amico Renato Grendene, portabandiera del cooperativismo, a discutere di cooperative, di società da lui fondate per diffondere l’idea dello stare insieme negli acquisti, nel marketing, nella gestione.
Belle idee, man mano purtroppo annacquate, e che oggi, con la Legge 124/2017 e l’arrivo delle catene del capitale, si cerca di far rivivere. Ma con fatica, e non sempre con risultati soddisfacenti.
Ne parliamo con Cesare Guidi, che nel mondo della cooperazione tra farmacie è cresciuto, avendo nel 1986 fondato la Cooperativa farmaceutica lecchese (Cfl), piccola ma ben compatta unione tra i farmacisti di Lecco, nata per acquistare al meglio, e poi, divenuta SpA, per tutelare gli “indipendenti”. E ancora, nel 2013 è stato eletto presidente di FederfarmaCo, la società di servizi controllata dalle cooperative della distribuzione, quindi è stato consigliere di Federfarma Servizi e ancora oggi è al vertice del “Club Salute”, in cui la Cfl si è evoluta.
Al tema della cooperazione ora Cesare Guidi affianca l’interesse per la tutela della farmacia indipendente, sia come vicepresidente di Federfarma Como e responsabile rurale, sia come consigliere di Federfarma Lombardia. Ci prefiggiamo con lui di fare un po’ di Amarcord su farmacia e cooperazione, non soltanto perché questo è un tema che da sempre è nel cuore della categoria, ma soprattutto perché l’arrivo del capitale lo rende particolarmente attuale.
Come è nata l’idea di fondare la cooperativa “Lecchese” e come si è sviluppata? Ricordo anni fa un bel magazzino e tanta coesione tra gli associati
L’idea è nata nell’autunno del 1986, elaborata da me e da un gruppo di otto colleghi amici, in un periodo in cui le cooperative riuscivano a comperare molto meglio delle singole farmacie. Quindi, la “Cooperativa Farmaceutica Lecchese” è partita con nove farmacie e con l’obiettivo di realizzare un gruppo d’acquisto per approvvigionarsi al meglio di farmaci e parafarmaci. In breve siamo arrivati a circa 100 soci, che poi in seguito sono aumentati fino a circa 130. Servivamo le farmacie di Lombardia, Piemonte e Liguria e a quei tempi, per diventare soci, l’investimento era modesto (poco più di un milione e mezzo di lire). Tutto questo anche perché potevamo contare sulla piattaforma di un grossista che aveva chiuso e, quindi, avevamo la fortuna di poter operare su un’infrastruttura già completa.
“Pochi ma buoni” per diversi anni, ma poi vi siete lentamente spenti. Come mai questo lento declino?
Non direi che ci siamo spenti, piuttosto che ci siamo evoluti, secondo le opportunità del momento. Perché all’inizio la cooperativa aveva soci molto uniti, compatti nelle iniziative e soprattutto negli acquisti: tutti si ritenevano proprietari non soltanto delle proprie farmacie, ma anche della loro cooperativa. Poi, con il tempo, si è sviluppata una maggiore competizione tra i grossisti distributori e la battaglia per la maggiore scontistica ha avuto tra i soci il sopravvento sullo spirito cooperativo. Lentamente è venuto meno il collante che ci teneva uniti, abbiamo deciso di cambiare abito e anima per evolverci alla nuova iniziativa di “Club Salute”.
Prima di parlare di Club Salute, parliamo di FederfarmaCo. Gran bella idea, ma poi infranta in un pesante inciampo. Ricordo che la situazione era tragica, quando è arrivato lei. Non è vero? Ma che cosa era successo?
Certo, FederfarmaCo è stata una gran bella idea nata dalla fantasia di Alberto Ambreck, e io facevo parte del consiglio di amministrazione, in quanto azionista della piattaforma come presidente della Cooperativa Farmaceutica Lecchese. FederfarmaCo aveva il suo gol nell’attività d’intermediazione dei farmaci etici con le principali aziende produttrici e in poco tempo era diventata una preziosa realtà a disposizione di quasi tutte le cooperative farmaceutiche italiane, alle quali riserva la miglior scontistica ottenuta. Inoltre avevamo creato una linea di “Private label” marchiata Profar, con prodotti ben accolti sia dalle farmacie, sia dai consumatori, che in breve tempo era riuscita a raggiungere gli 8 milioni di euro di fatturato. Ma non solo: FederfarmaCo aveva anche acquistato una “Carta fedeltà” divenuta, poi, strumento di “Sistema Italia” e, sempre la stessa piattaforma, molto duttile e dinamica, provvedeva a gestire tante altre iniziative di successo. Purtroppo, quando le cose vanno bene, c’è sempre dietro l’angolo la possibilità di cadere nell’incidente. E così arriviamo a quello che lei, educatamente, definisce “inciampo”. Per colpa di dirigenti, di cui non voglio fare nomi, FederfarmaCo si è ritrovata nel giro di un mese a dover far fronte a un ammanco di circa 20 milioni di euro. È stato proprio quello il momento in cui, con un po’ di spregiudicatezza e con tanto coraggio, ho accettato l’incarico, da vicepresidente, di passare a presidente.
Più che un buco era una voragine. Come avete fatto a venirne fuori? È interessante saperlo, anche perché questo salvataggio rappresenta un bell’esempio di come sia utile saper cooperare. “L’unione fa proprio la forza”?
Senza dubbio, anche se diverse sono state le componenti che hanno permesso di sanare la situazione, peraltro nel giro di pochi anni. Certo, abbiamo operato -il consiglio di amministrazione e il sottoscritto- con molta calma, sangue freddo e tanta fortuna, grazie anche alla capacità di alcuni dirigenti e all’aiuto di alcune banche, che hanno saputo valutare la solidità dell’azienda e circoscrivere il guaio in cui eravamo incolpevolmente precipitati. Così, grazie anche al successo delle “private label” siamo riusciti a rimettere in sesto FederfarmaCo e a riportarla a distribuire utili interessanti. Senza dubbio l’unione fa la forza e proprio grazie al supporto compatto delle nostre cooperative siamo riusciti a diventare ben presto una piattaforma logistica davvero importante, che ancora oggi ha il suo peso sul mercato e offre alle farmacie indipendenti la possibilità di realizzare altre buone iniziative.
E ora che cosa ci dice di “Club Salute”, questa nuova realtà dello “stare insieme”, di cui lei è presidente? In che cosa vi distinguete dagli altri network?
Ritorniamo indietro di qualche anno, cioè al 2018, quando ci siamo accorti che ormai la nostra amata Cooperativa Farmaceutica Lecchese stava perdendo colpi, soprattutto vedeva annacquata la sua mission di cooperativa. Va, poi, considerato che la logistica ha costi assai elevati: tanto per fare un esempio, nella “Lecchese” arrivava a costare il 7% del fatturato. E allora, prima ancora di fidelizzare la clientela, per sopravvivere diventa necessario fidelizzare soci e singole farmacie, altrimenti non si riesce a stare in piedi. Abbiamo cercato di reagire alla guerra sulle scontistiche, evolvendoci in una più moderna SpA, ma è stata un’attività “di cosmesi”, per così dire, che non ha inciso più di tanto, limitandosi a rallentare il declino. Chiudere non ci andava, anche perché eravamo ancora un bel gruppo di farmacie amiche ed è così che allora, con il Cda e soprattutto con il direttore Simone Castelli, abbiamo incominciato a parlare di retail, cercando di allargare l’orizzonte per noi e per i nostri soci. In poco tempo nei abbiamo coinvolti 49 e siamo così riusciti a raccogliere circa un milione di euro e a fondare “Club Salute”.
Ora quali sono le motivazioni e le forze che sostengono la rete “Club Salute”, che anno dopo anno si sta rafforzando?
In questa nostra nuova rete -che i giovani colleghi chiamano network- diamo molta importanza alla specializzazione e alla comunicazione, puntando anche a coinvolgere i collaboratori delle farmacie, che vogliamo siano ben consapevoli di un processo che, per arrivare al traguardo prefissato, deve vederli convinti e partecipi. Lo facciamo gratificandoli sia con premi di fedeltà, sia con premi obiettivo legati allo sviluppo dei nostri prodotti a marchio, ma, soprattutto, facendoli sentire parte attiva dei nostri programmi. La nostra rete, inoltre, è seguita costantemente dalla controllata “Phare Consulting”, che monitora in tempo reale l’andamento delle singole farmacie. Infine, la telemedicina, seguita dalla sede in modo scientifico, fa sì che ogni farmacia possa sviluppare gli innovativi servizi nel miglior modo possibile, secondo le proprie specifiche peculiarità. Da poco poi abbiamo dato vita al nostro progetto digitale, praticamente a una piattaforma di e-commerce e local commerce, che mette al centro il consumatore e genera profitto alla farmacia.
(Intervista di Lorenzo Verlato, Farma Mese n. 4/23, ©riproduzione riservata)