L’allarme è preciso e documentato: “Se non si cambia rotta, il Servizio sanitario nazionale collasserà”. E la Fondazione Gimbe dimostra, con una dettagliata tabella, come il Documento di Economia e Finanza presentato dal Governo Meloni non preveda abbastanza soldi per la sanità pubblica.
Partiamo dai dati del Def. Già nel 2024 il Fondo sanitario scenderà a 132.737 milioni, il 2,4% in meno rispetto ai 136.043 milioni del 2023, per poi risalire nel 2025 a 135.034 milioni di euro, cioè l’1,7% in più, e raggiungere nel 2026 i 138.399 milioni di euro (+ 2,5%). Ma il “risibile aumento medio dello 0,6% rispetto al Pil -precisa Nino Cartabellotta- non coprirà nel triennio 2024-2026 nemmeno l’aumento dei prezzi, sia per l’erosione dovuta all’inflazione, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale di quelli al consumo”.
Inoltre, rispetto al Pil, la spesa sanitaria pubblica scende dal 6,9% del 2022 al 6,2% nel 2026, un valore addirittura inferiore al 6,4% registrato nel 2019, prima cioè della pandemia. E così, mentre il Pil nel triennio 2024-2026 si prevede crescerà del 3,6%, al Fondo sanitario viene riservato un modesto +0,6%, insufficiente a garantire risorse al personale, alle strutture e alle necessarie innovazioni.
Dimenticando che la popolazione invecchia, e che questa regressione avrà pericolose conseguenze sui servizi ai pazienti cronici, sulle cure domiciliari, sugli investimenti in telemedicina e sulla tanto auspicata assistenza di prossimità.
Insomma, per la Fondazione Gimbe, se non si cambia rotta vengono minacciati i principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale -di universalità, uguaglianza ed equità- e viene compromesso lo stesso diritto costituzionale alla tutela della salute.
Ne sono già peraltro una riprova le interminabili liste d’attesa che obbligano i pazienti a ricorrere al privato, l’aumento della spesa out-of-pocket che impoverisce le famiglie e determina la rinuncia alle cure e le diseguaglianze regionali che favoriscono la migrazione sanitaria.
Pertanto, così come accaduto negli ultimi 15 anni, anche per il Governo della Destra la sanità non rappresenta una priorità politica, ma rimane marginale. Come dire che il Covid non ha insegnato proprio nulla e così le promesse fatte sulla necessità di aumentare e migliorare i servizi, soprattutto territoriali, con questo Def sono ora cadute nel dimenticatoio.
E che cosa succederà alla spesa farmaceutica pubblica? C’è poco da stare allegri, visto che da sempre questa voce di spesa rappresenta il “bancomat della sanità”, il più semplice e rapido fondo da cui trarre risorse per tamponare altri buchi.
Un grosso impegno si presenta così al Consiglio di Presidenza di Federfarma, la cui recente riconferma per il prossimo triennio testimonia apprezzamento per il lavoro finora compiuto. Molti scogli, però, rimangono da superare, dall’annoso problema della remunerazione al rinnovo della arrugginita Convenzione, dallo sviluppo della farmacia dei servizi all’evoluzione della telemedicina, soprattutto alla necessità di rapportarsi e collaborare con tutti i professionisti dei servizi sanitari territoriali. Tanti sinceri auguri.
(Editoriale di Lorenzo Verlato, Farma Mese n. 5/23, ©riproduzione riservata)