In un recente discorso ai neolaureati dell’Università del Nord Arizona, Bill Gates ha ripercorso i momenti della sua giovinezza, quando ha abbandonato gli studi per fondare la sua azienda. Ha raccontato che lavorava tutti i weekend, non faceva vacanze e dal suo ufficio, affacciato sul parcheggio, controllava chi usciva presto e chi rimaneva fino a tardi (e questi ultimi, ovviamente, erano i suoi preferiti).
Ora, a distanza di molti anni, rimpiange di aver sottratto del tempo alla sua vita privata, di non aver avuto il tempo per curare determinati rapporti e quindi esorta i ragazzi a godersi il presente, a vivere la propria vita privata senza essere fagocitati dal lavoro.
Beh, questa volta possiamo dirlo: non avevamo bisogno che ce lo dicesse Bill Gates! Il fenomeno a cui stiamo assistendo va proprio in quella direzione: le giovani generazioni hanno, nei confronti del lavoro, un rapporto assolutamente diverso rispetto a quello dei Millennials, della generazione X e di tutti coloro che sono nati tra il dopoguerra e la fine degli anni Novanta. È il momento del cosiddetto “worklife balance”: lavorare sì, ma senza privarsi della propria vita personale che, si sa, è una sola.
In tutto questo il Covid ha dato il suo bel contributo in termini di accelerazione dei processi: cose che si sarebbero probabilmente verificate nell’arco di dieci anni, sono state compresse nello spazio temporale di due-tre anni.
Ma veniamo a noi: uno dei temi del giorno, per un farmacista, è la ricerca di collaboratori. Che succede? Non ci sono più studenti in farmacia? No, ci sono, solamente che alla fine del percorso di studi si orientano verso altre opportunità che questa laurea offre.
Perché? I motivi sono vari: le opportunità di sviluppo professionale, il lavoro in un contesto meno “famigliare”, la formazione; e poi indubbiamente lo stipendio, che è certo importante, anche se sappiamo non essere l’unica variabile a essere considerata. Infine, non dobbiamo trascurare un tema che è diventato di primo piano: orari, turni, lavoro durante i giorni festivi.
Si torna, dunque, al tema della vita personale e della sua importanza. Durante l’ultima edizione di Cosmofarma abbiamo affrontato il tema coinvolgendo un farmacista titolare, un collaboratore, un commercialista e una specialista di gestione di risorse umane. E proprio da lei sono stati snocciolati i numeri di un fenomeno epocale (si parla del più grande cambiamento avvenuto dopo la rivoluzione industriale) e anche alcune terminologie con le quali dobbiamo avere a che fare. Tra queste il “quiet quitting”, l’estrema facilità con cui i giovani (e talora non solo) lasciano il lavoro, senza per forza averne un altro.
Che cosa fare dunque? Com’è facile immaginare, ricette risolutive non ce ne sono; esistono tuttavia azioni che, con particolare riferimento alla farmacia, si possono intraprendere.
La formazione, come dicevamo, è un punto cardine: il collaboratore deve essere parte di un processo di evoluzione professionale tangibile, il coinvolgimento: quello che nel gergo aziendale viene chiamato “engagement”. Qui si tratta di avere il collaboratore come parte attiva dei processi decisionali e non semplicemente come colui che li subisce. Il coinvolgimento, in taluni casi, può anche portare ad avere il collaboratore come socio (seppur di minoranza) con conseguente partecipazione agli utili.
C’è poi il tema (spinoso) dei soldi. Anche in questo caso, però, come ci ha spiegato il commercialista, è possibile ricorrere a forme di “welfare aziendale”, che permettono al datore di lavoro di elargire compensi non direttamente in denaro, ma sotto forma di servizi per il ricevente (corsi, palestra, visite mediche…), così come disciplinato dalla legge.
Bene, questa la situazione. Abbiamo capito che siamo di fronte non già a un’epoca di cambiamenti, bensì a un cambiamento di epoca. Quindi, non possiamo far finta di niente: dobbiamo adattarci (lo diceva anche Darwin!).
(di Roberto Valente, Farma Mese n. 6/2023 ©riproduzione riservata)