Intervista ad Andrea Mandelli: “Ho provato una vertigine”

Le soddisfazioni non sono certo mancate ad Andrea Mandelli. Lo ricordiamo come presidente dei giovani farmacisti (Fenagifar), poi con ruoli crescenti fino alla presidenza dell’Ordine di Milano e della Consulta degli Ordini della Lombardia, quindi presidente della Fofi e successivamente con preziosi incarichi come parlamentare, prima al Senato e poi alla Camera, fino alla sua vicepresidenza. Una lunga e prestigiosa carriera, ma non è su questo cammino che lo vogliamo intervistare, bensì su un riconoscimento che non dubitiamo lo abbia molto inorgoglito: il premio “Farmacista dell’anno”, attribuitogli nel corso di Cosmofarma 2023.

Allora, come ci si sente nel ruolo di “Farmacista dell’anno 2023”?

Sicuramente questo riconoscimento mi ha provocato una vertigine, quella sensazione che ognuno di noi ha quando, dall’alto del percorso fatto vede il cammino compiuto. Un po’ la stessa vertigine che ho provato quando il presidente della Repubblica mi ha chiamato per darmi la medaglia d’oro dei farmacisti. In quei 30-40 passi che separavano la mia poltrona dal raggiungere il presidente Mattarella ho rivisto un po’ un film della mia vita, della mia famiglia, di mio padre farmacista, ma anche di tutte le persone che mi hanno permesso di arrivare fin qui. Non c’è mai una persona sola che compie un percorso lungo, perché -come si dice- “da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano”. È stato un lampo passato nel cervello, che mi ha dato contezza che forse quegli obiettivi che nel 2005 mi ero messo in testa, animato anche da uno spirito di lucida follia, tipicamente giovanile, si erano avverati. Quello che avevo scritto nel 2005 -grazie all’intuizione di Giacomo Leopardi di puntare su un progetto nuovo, ispirato un po’ dalla sfrontata baldanza tipica dei ragazzi- lo vedo ora realizzato. Insomma, quello che avevamo detto l’abbiamo fatto.

Medaglia d’oro e farmacista dell’anno, quindi sono state belle occasioni per ripercorrere il cammino fatto. Il bilancio è positivo?

Rispondo citando un episodio. Quando abbiamo portato a casa le vaccinazioni, un amico caro mi ha detto: “Ti ho sempre seguito perché hai un dono, ma questo non pensavo proprio lo avresti ottenuto”. Fortuna? Ma anche qui la fortuna non basta, bisogna soprattutto essere pronti: le occasioni della vita passano per tutti, necessario è essere pronti a prenderle.

La farmacia vive un momento di grandi trasformazioni. Sulla base della sua esperienza, quali consigli offre per sviluppare i ruoli richiesti alla “farmacia dei servizi”?

Questa fase nuova è supportata da una voglia di mettersi in gioco, essere preparati e poter contare su colleghi capaci, che ci mettono l’anima. Il 40-50% dei farmacisti hanno partecipato al nostro corso per diventare vaccinatori: questo vuol dire poter contare su 40.000 colleghi che hanno voglia di studiare, che credono nel cambiamento, consapevoli che fornire i nuovi servizi richiesti dal cittadino significa acquistare maggiore autorevolezza. Certo, il cambiamento cammina sulle nostre gambe ed è evidente che un farmacista che vaccina, che fa i tamponi, che ti fa una Bcr, che ti fa una emoglobina glicata ottiene dal cittadino un riconoscimento molto premiante sul piano sanitario. Quando fai un elettrocardiogramma e dai il referto ti rendi conto che quello è un atto sanitario, ma soprattutto se ne rende conto il paziente. Per carità, il farmacista è e sarà sempre dispensatore di farmaci, ma deve cambiare pelle per conseguire quell’autorevolezza che i tempi e la territorializzazione della sanità richiedono. I dati Ipsos di Pagnoncelli ci dicono chiaramente che il ruolo del farmacista è cambiato, e che le nuove sfide garantiranno un’autorevolezza molto maggiore. Questo è il vero cambiamento di passo che sta facendo la professione, che mi vede in prima linea e che anima un po’ il cuore di tutti i colleghi.

Come si spiega allora che i neolaureati disertino il banco della farmacia? Cosa bisogna fare per dare un nuovo appeal alla professione?
Il problema del lavoro riguarda tutte le categorie: medici, infermieri, farmacisti, ma non solo. Interessa proprio tutte le professioni. Direi che è una crisi di sistema: sostanzialmente mancano le persone, in ogni attività. Forse il Covid ha dato sete di vita, ha modificato la mentalità dei giovani, che ora vogliono vivere di più la propria vita, magari lavorare un’ora in meno e il sabato e la domenica essere liberi. Noi alla loro età pensavamo a fare carriera, il mantra era “lavorare, lavorare, lavorare”, forse sbagliando, mentre loro oggi privilegiano la vita personale, gli amici, il tempo libero. È venuta meno la disponibilità al sacrificio. Ma tornando alla domanda, consideriamo che su 197 professioni circa che hanno visto abolito l’esame di Stato, l’unica facoltà che ha cambiato il percorso di laurea siamo noi. Ancora una volta la Federazione degli Ordini si è impegnata a rendere più funzionale e attrattiva questa facoltà. Uno studente non si sente trascinato dalla chimica, mentre è più stimolante occuparsi di salute, sanità e medicina. Ci vorrà tempo? Sono contento? Risponderei “ni”, perché dobbiamo dare tempo al cambiamento, però abbiamo imboccato la strada giusta, rendendo più seducente la professione.

A proposito, come giudica il numero chiuso all’università e cosa pensa della nuova riforma del corso di laurea?

La riforma del corso di laurea l’abbiamo fatta noi di Fofi, l’abbiamo voluta fortemente e difesa in tutte le riunioni di facoltà; io sono andato a spiegare ai rettori, ai direttori di dipartimento e ai professori che non volevamo un cambiamento per un capriccio, ma perché la gente ci vuole diversi. Oggi la Fofi fa il corso che ti abilita a diventare vaccinatore (un fatto straordinario), ti dà la patente per fare l’herpes zoster nelle Marche, l’antipneumococcica tra breve in Lombardia. Non possiamo però essere sempre noi a dare questa patente. Se il Dm 77 dice che il farmacista deve fare le vaccinazioni, quindi lo riconosce la legge, l’università deve prepararti a farlo. Questo è un fatto importante. Per quanto poi riguarda il numero chiuso, bisogna sfatare un mito: farmacia non ha un numero chiuso, ha il numero programmato, in base alle sue capacità logistiche. Se l’Università di Milano ha 100 posti nel laboratorio di chimica, non può ospitare più studenti. Non di meno so, da varie interlocuzioni con le università, che dall’anno prossimo non ci sarà neanche più questo numero programmato. Vedranno di organizzare i laboratori per rimanere aperti e colmare questo gap. Oggi c’è meno chimica e più sanità, più biologia, ma il problema non è aumentare il numero di laureati, se poi i farmacisti vanno a fare altro. Molti, di fronte al sacrificio di lavorare 12 ore al banco, di sabati, di domenica, di lunedì e a Ferragosto, preferiscono avere vie diverse, come magari andare a lavorare nell’industria o fare mezza giornata a scuola e privilegiare l’aspetto personale e di vita, indubbiamente aumentato come percezione dopo il Covid.

Il Covid ha dimostrato che devono essere valorizzati i servizi territoriali. Come vede il ruolo della farmacia? E la collaborazione con gli altri professionisti sanitari?

Ho avuto il piacere e l’orgoglio di dare il mio contributo nella stesura del Dm 77, che traccia una via eccezionale per valorizzare l’unione tra i professionisti della salute, a tutto vantaggio del cittadino. Con chiarezza riconosce l’importanza dell’équipe, della squadra, che il farmacista ora occupa a pieno titolo. Il Dm 77 dice anche che quello che abbiamo messo a legge -vaccini e tamponi- è proprio ciò che il farmacista deve fare. Quindi, sono convinto che questo rapporto debba essere sempre più importante e a tal fine stiamo ragionando con la Fimmg e i medici di medicina generale per proporre una maniera nuova di vivere il rapporto tra il medico e il farmacista. È ineludibile che debba cambiare, perché per dare una risposta al cittadino abbiamo bisogno di una collaborazione stretta, tra persone perbene. Quindi, abbiamo davvero in cantiere progetti importanti per sburocratizzare il lavoro e per realizzare in farmacia, con l’aiuto anche dei medici, una sinergia positiva. Penso, per esempio, a quella proposta che abbiamo fatto, e che ho fortemente caldeggiato, di aprire la prescrizione ai cronici per 12 mesi, ovviamente nel rispetto dell’aderenza alle terapie (perché non ci può essere il farmacista che il 1° gennaio dà le 12 scatole di Napren), in modo da somministrare piano piano il farmaco senza che il cronico debba tornare dal medico tutte le volte a farsi fare la ricetta.

Parliamo delle nuove frontiere del digitale: pensiamo al Fse, al Dossier farmaceutico, alla telemedicina. Come vede questi sviluppi?

Sono tutti fondamentali, tutti importanti. Con il Dossier farmaceutico -integrato grazie a un mio emendamento al Fascicolo sanitario elettronico- si è aperta un’autostrada prevista per legge tra medico e farmacista, dove si potrà far transitare tutte le informazioni riguardanti il cittadino. La telemedicina sarà un’altra delle grandi conquiste che ci permetteranno di avere un ruolo diverso all’interno della società. È di questi giorni la delibera della Regione Liguria sulla telemedicina, rilevante perché mette in Ssr l’erogazione di servizi come l’elettrocardiogramma, dimostrando che l’evoluzione della professione è già tangibile ed evidente. Ma c’è anche un altro settore della digitalizzazione che riguarda il futuro del farmacista e che lo renderà protagonista: le app che regoleranno l’assunzione dei farmaci, i farmaci che ci tracciano dall’interno: li ingerisci, ti passano dentro, li recuperi e dicono tutto quello che succede nel tuo corpo. Si sta aprendo un mondo straordinario e, quindi, non limitiamoci a pensare soltanto a quello che vediamo, ma guardiamo oltre, prevediamo quello che succederà nel mondo della farmacia. È un mio brutto vizio pensare sempre al domani, e così prevedo una nuova realtà per il farmaco digitale, che magari sarà proprio una app. D’altra parte la Food and Drug Administration gestisce le app sanitarie fatte anche da aziende estranee al mondo sanitario, e questo dimostra quanto rilevanti saranno le innovazioni scientifiche. Il mondo che verrà, non dubito, ci renderà protagonisti di questa sanità digitale: pensiamo alle stampanti che  realizzeranno i farmaci o alle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale. L’importante è che noi siamo su questa cresta dell’onda e il nostro protagonismo ci renderà per forza attori del mondo che verrà. Abbiamo acquisito crediti per il futuro e ora tutti sanno che se c’è una cosa che può essere fatta in sanità, la farmacia e i farmacisti sono pronti.

In conclusione, quali saranno le nuove sfide che il farmacista dovrà affrontare?

Sicuramente la sanità digitale e la mia tensione, che è tensione di tutta la categoria, è cercare di leggere il futuro per poterlo poi guidare. Se noi oggi pensassimo d’inventare la farmacia dei servizi non ce la faremmo; siamo partiti quando nessuno pensava fosse possibile. Adesso la chiamano farmacia di prossimità, ma il concetto è lo stesso. Quindi, quello che ritengo importante, un po’ la molla che ancora mi spinge, è non pensare alla vertigine del farmacista dell’anno, ma alla scalata che voglio ancora fare.                  

(Intervista di Lorenzo Verlato, Farma Mese n. 7/23, ©riproduzione riservata)

2023-09-06T09:58:08+02:00