È un tema che abbiamo già trattato, ma vale la pena di ritornarci su, prendendo spunto dall’annuale Trust Barometer di Edelman, la ricerca proposta, ormai da 23 anni, dal colosso mondiale della comunicazione e relazioni pubbliche.
L’indagine, vogliamo ricordarlo, viene svolta in 28 Paesi di tutto il mondo, intervistando circa 32.000 persone nel mese di novembre, il che permette di tracciare una sorta di bilancio dell’anno in chiusura e apre le prospettive per quello che sta per iniziare.
Il tema dell’ultima indagine è quello della polarizzazione del mondo e, in particolare, sono stati analizzati 4 elementi che portano alla suddetta polarizzazione. Il primo di questi è l’ansia economica, vale a dire che nella maggior parte dei Paesi considerati, cresce il numero di persone convinte che la propria famiglia nei prossimi 5 anni starà peggio.
Poi c’è il grande tema del business, posto in opposizione alle istituzioni governative, nel senso che c’è fiducia nel mondo degli affari, a cui si chiede addirittura di supplire alle mancanze dei governi. Il terzo parametro analizzato è l’allargamento della forbice sociale e la sua influenza sulla fiducia: le persone appartenenti alle fasce reddituali più alte tendono ad aumentare il proprio indice di fiducia, mentre al contrario, quelle con i redditi più bassi tendono a diminuire la loro fiducia.
Abbiamo infine il quarto elemento considerato, che sono i media. Gli organi di informazione, in generale nel mondo, tendono a essere ritenuti sempre meno affidabili e peggio ancora se si considerano i social media (la qual cosa potrebbe sembrare inverosimile nell’era di Instagram e Tik tok…).
E quali sono le paure della popolazione nel mondo? Dal punto di vista economico personale, al primo posto c’è sempre la perdita del lavoro, seguito dalle conseguenze dell’inflazione. Per quanto riguarda, invece, i timori legati alla società e al mondo, il cambiamento climatico ha un ruolo di primo piano, seguito dalla guerra nucleare, dalle carenze alimentari e dai problemi energetici. Come si può notare, il tema Covid è completamente sparito dai radar. Tre anni dopo l’esplosione della pandemia le persone hanno rimosso questo periodo (che è stato buio e faticoso per i più).
Questo è un interessante spunto di riflessione perché sappiamo molto bene quale sia stato il ruolo della farmacia nei momenti pandemici: tuttavia dobbiamo anche essere consapevoli che questo è il passato. Un passato da cui, come sempre, possiamo trarre buoni insegnamenti per il futuro, senza la pretesa o la volontà di richiamarlo costantemente per forza.
Dicevamo dunque che il business viene ritenuto, in generale, un settore a cui dare fiducia, pur con i suoi alti e bassi, a differenza delle altre macro-aree analizzate, cioè organizzazioni non governative (Ngo) che sono al secondo posto, istituzioni governative e, maglia nera per quanto riguarda la fiducia meritata, gli organi di informazione.
Solamente il business viene ritenuto competente, etico e sostenitore di una crescita dei valori rappresentati. E questo è un altro punto importante che ci portiamo a casa, cioè il collegamento che viene fatto tra il business, e dunque i brand, e i valori da essi propugnati.
Il 63% delle persone acquista prodotti che siano allineati con i propri valori (che possono essere diversi: la naturalità, la scientificità, l’originalità e così via). È proprio il concetto di base che dobbiamo fare nostro: dietro al prodotto ci deve essere una storia, e la storia va raccontata.
E chiudiamo con un ultimo punto riguardante la fiducia: dicevamo che il business ne ottiene più degli altri settori e possiamo anche specificare che il family business, in particolare, è al primo posto.
Dunque, abbiamo una storia in più da raccontare.
(di Roberto Valente, Farma Mese n. 3/2023 ©riproduzione riservata)